‘Unum lignum nostri Comunis quod est in Arsena, quod nihi valet nisi pro disfaciendo, valoris solidorum grossorum ut dicunt patroni Arsenatus, absque ferramentis grossis, pro aptacione dictarum riparum’ (ASVE, Avogadria di comun, reg.22).
La destinazione a diverso uso di scafi ormai vetusti, soprattutto con finalità di pubblica utilità e assistenza, rientrava nelle concessioni e ‘grazie’ che il Maggior Consiglio deliberava a favore delle comunità del Dogado della Serenissima.
Nella frase sopra riportata si attesta la concessione dello scafo di un’imbarcazione destinata alla demolizione, spogliata delle sovrastrutture e delle parti metalliche, per essere utilizzato come cassaforma a consolidamento dell’argine di un canale.
Una pratica diffusa per riutilizzare le opere morte di molte imbarcazioni, la cui vita sovente non superava il decennio.
Probabilmente con formula simile venne deliberato il reimpiego di uno o più legni per consolidare il perimetro del deposito di sedimenti in prossimità della foce del Timavo, su cui nell’anno 1284 sarebbe sorto il fortilizio veneziano noto con il nome di ‘Belforte’.
(carta di Giovanni Antonio Magini, Venezia, 1620)