Percorso di pietra #9 | La distruzione e la ricostruzione del ponte di Farra

Percorso di pietra #9 | La distruzione e la ricostruzione del ponte di Farra

meno nuove percorsi di pietra

Dicevamo dunque che il grande ponte di Farra è ricordato da uno storico del III secolo, Erodiano, che lo menziona raccontando l’episodio che si riferisce alla distruzione della struttura.
Nel 238, infatti, Massimino il Trace, che nel 235 era stato acclamato imperatore dalle legioni renane di cui era il comandante, intenzionato di recarsi a Roma per “fare i conti” col Senato che gli si era sollevato contro e che lo aveva proclamato nemico pubblico, lasciò in primavera la sede di Sirmium in Pannonia (oggi Serbia) e si diresse verso Aquileia.

Sirmium (mediaportal.vojvodina.gov.rs)
denario recante l’effigie di Maximinus ‘il Trace’

Dopo aver superato le Alpi Giulie e in procinto di attraversare l’Isonzo, trovò però il ponte distrutto dagli aquileiesi che cercavano di fermarlo. La tradizione vuole che le truppe di Massimino oltrepassarono ugualmente il fiume grazie ad un improvvisato ponte di botti.
L’imperatore arrivò quindi ad Aquileia e la mise sotto assedio senza esito, ma la sua corsa verso Roma si fermò qui, visto che venne assassinato dai suoi stessi soldati….

Come abbiamo già avuto modo di raccontare nelle precedenti “pillole”, il ponte di Farra venne molto probabilmente ricostruito poco dopo, come suggerisce il reimpiego del materiale lapideo funerario di epoca precedente e come ci conferma il dato storico dell’esistenza del ponte alla fine del IV secolo, all’epoca della battaglia di Teodosio I contro l’usurpatore Eugenio (battaglia del fiume Frigido, l’attuale Vipacco, nel 394) e poi ancora nel 489, alla fine del V secolo, quando Teoderico re degli Ostrogoti ottenne da Zenone, imperatore d’Oriente, l’incarico di sottrarre l’Italia ad Odoacre.
Teoderico e le sue truppe superarono le Alpi Giulie e sconfissero Odoacre probabilmente proprio nei pressi del ponte di Farra.

monete romane con l'effigie di Teodosio I e Flavio Eugenio
monete romane con l’effigie di Teodosio I e Flavio Eugenio

Ma che successe in seguito?
Secondo gli studiosi il ponte era ancora in uso nel pieno Medioevo e solo allora, a quanto pare, venne demolito.
I resti del ponte erano ancora tuttavia visibili alla metà del XVII secolo: allora, infatti, vengono menzionati da un erudito udinese, Enrico Palladio degli Ulivi.
Sul lungo periodo tra il Medioevo e il 1600 le fonti purtroppo tacciono.

I ritrovamenti occasionali e le ricerche compiute in quest’area a partire dagli inizi del ‘900 e che proseguono tuttora hanno aggiunto via via altre tessere a questo mosaico di conoscenze sul ponte romano di Farra.
La nostra mostra “Percorsi di pietra” ha avuto proprio questo scopo: far riemergere dal passato, come da un vecchio album di fotografie, l’immagine di questo eccezionale manufatto, con il suo corredo di vicende grandi e piccole, e inserire queste nel corso della Storia più antica del territorio, così avvincente e ancora così vicina a noi.



i #percorsi

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Percorso di pietra #4 | In viaggio!
Percorso di pietra #5 | Fermarsi a riposare lungo la strada: mansiones e mutationes
Percorso di pietra #6 | I ponti romani
Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana
Percorso di pietra #8 | Il ponte sull’Aesontius
Percorso di pietra #9 | La distruzione e la ricostruzione del ponte di Farra

 

 

Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana

Percorso di pietra #7 | La costruzione di un ponte in età romana

meno nuove percorsi di pietra

Come abbiamo già avuto modo di dire nella precedente “tappa” di questo nostro Percorso di pietra, i ponti sono considerati le “opere d’arte” degli ingegneri stradali romani, maestri insuperabili nella costruzione di questi manufatti.
Erano elementi essenziali della viabilità antica e testimoniano ancora oggi il passaggio di strade ormai scomparse.
I più antichi ponti romani, abbiamo detto, erano costruiti in legno anche per poter essere velocemente smontati in caso di pericolo.
I primi esemplari in muratura, a una o più arcate sostenute da pilastri (pilae), risalgono alla fine del II secolo a.C.
Un ponte necessitava in primo luogo di basi ben solide e l’edificazione delle fondazioni era di certo l’operazione più impegnativa. Nel caso di fiumi ampi, con una portata d’acqua costantemente elevata, era necessario isolare l’area in cui costruire il pilone.
Marco Vitruvio Pollione, architetto, ingegnere e scrittore vissuto in epoca augustea ce ne spiega la realizzazione nella sua famosa opera De architectura: si costruiva un cassone con una doppia parete di pali lignei, entro la quale erano inseriti sacchi di argilla in modo da creare uno sbarramento a tenuta stagna.
Una volta immerso, il cassone veniva svuotato dall’acqua fino a liberare il fondo su cui lavorare.
La costruzione dell’arco avveniva per mezzo di una struttura semicircolare in legno (centina) su cui erano collocati i conci in pietra squadrata.

uso della centina nel montaggio della volta del ponte

La centina poteva poggiare direttamente a terra o essere fissata sul punto d’innesto della volta, su una sporgenza creata a livello dell’ultimo filare orizzontale del pilone. L’arco si realizzava giustapponendo i conci a partire dalle estremità sino al punto centrale, dove si collocava il concio di sommità (chiave dell’arco).
Per diminuire gli effetti dell’erosione causata dalla corrente, se possibile, i piloni erano costruiti al di fuori dell’alveo del fiume.
Si venivano così a creare delle arcate molto grandi, larghe anche più di 30 metri.
La presenza di un archetto centrale nel pilone permetteva un maggior deflusso dell’acqua in caso di piena.

Nella prossima “pillola” guarderemo da vicino il ponte della Mainizza…sì, proprio lui!


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Percorso di pietra #6 | I ponti romani

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…a proposito di ponti…

Costruire un ponte è stato, per chi nel nostro passato ha avuto per primo questa brillante idea, un atto di vera e propria sfida alla natura e agli ostacoli da questa contrapposti alla volontà di spostamento degli esseri umani.
Oggi come allora questa tipologia di manufatti riveste anche un forte significato simbolico: unisce e divide, è sospeso ma al tempo stesso è radicato al suolo, con sfrontatezza permette agli uomini di oltrepassare l’acqua del fiume, elemento sacro in molte culture del passato.
Forse è per questo motivo che nei pressi del ponte della Mainizza si trovava un’area sacra dedicata all’Isonzo in forma di divinità, il dio Aesontius… era necessario tenersi buono il dio e farsi perdonare per l’atto sacrilego!
Non sappiamo molto dei ponti più antichi, ponti sospesi realizzati con fibre vegetali, che erano certamente utilizzati in regioni extraeuropee, nel Sud Est Asiatico, nel Sud America e nell’Africa Equatoriale, o dei primi esemplari in legno d’epoca romana come il ponte Sublicio che era già in uso nel VII secolo a.C.
Le fonti antiche ci raccontano ad esempio di ponti in legno come quello fatto costruire da Cesare sul Reno nel 55 a.C e descritto nel De Bello Gallico.

il ponte di Cesare sul Reno

Di certo i ponti “ad arco” in muratura e poi in pietra dalla metà del III secolo a.C. in poi ci illustrano la straordinaria abilità degli ingegneri romani, acquisita dagli Etruschi, nella progettazione e realizzazione di opere considerate “sacre”, al punto che la massima carica a carattere giuridico-sacerdotale romana, appunto il Pontifex, traeva il suo nome dalle figure istituzionali che in origine avevano curato l’edificazione dei primi ponti sul Tevere.
Con la grande rete delle strade consolari numerosi ponti ad arco a tutto sesto furono costruiti per permettere alle truppe militari ma anche ai traffici commerciali di superare ostacoli come fiumi o valli o terreni impervi. Ma come si costruiva un ponte in età romana?

 


In copertina, la foto del ponte romano del secondo secolo sul fiume Carapelle (Foggia), preservatosi sin ai nostri giorni.
Le immagini sottostanti riportano invece la situazione contemporanea del ponte romano di Ceggia (Venezia), lungo la via Annia.

Di quest’opera, riemersa dalle campagne in seguito a scavi del ’49, si notano in particolare le basi dei piloni di profilo cuneiforme, scolpite nell’arenaria e poggianti su palizzate lignee, conformati per fronteggiare al meglio l’impeto della corrente e minimizzare la creazione di vortici al suo passaggio, garantendo robustezza e stabilità al manufatto.
Una situazione simile a quella esistente in prossimità di San Polo di Monfalcone, presso Ronchi, ove un ramo dell’Isonzo veniva oltrepassato da un ponte di cui ancora oggi esistono alcune testimonianze ➔ Ponte di Ronchi dei Legionari.


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