tra acque e miti del fiume Timavo (II parte)

tra acque e miti del fiume Timavo (II parte)

meno nuove

Oltre al Timavo adriatico o tergestino, si conoscono altri due luoghi in cui si rinviene una connessione etimologica d’ambito dedicatorio a questa divinità fluviale.
Uno è sito nei pressi del torrente Cellina in quanto, in prossimità della chiesa di Santa Maria Assunta di Montereale Valcellina (Pn), fu ritrovata nell’800 una piccola ara -oggi scomparsa- databile tra  II secolo a. C. e I a. C..
Si trattava di una dedica al dio Timavo, voluta dal civis Romanus Tiberio Poppaio:

L’altro è il cosiddetto Fontanone a Timau in Carnia, che scaturisce da una considerevole altezza del ‘Greto’ e si riversa a balzi spumeggiando nel torrente But.
Il geografo Strabone informa che la regione del nostro Timavo, e forse più particolarmente il santuario ivi esistente, dal nome del fiume Timavus, si chiamava Timavum: in egual modo il romito villaggio carnico ha conservato l’antico nome di Timavum, che anche si può leggere in una delle tre iscrizioni stradali scolpite nella roccia del vicino valico di Monte Croce.
Comune a tutti e tre i Timavi, oltre al fenomeno idrico di acqua uscente in gran copia dall’alto di una roccia, è il carattere etnico e geografico, cioè il territorio carnico: la città di Concordia, al cui agro certo appartiene Maniago, è annoverata da Tolomeo tra le città dei Carni, e alla colonia di Trieste, detta appunto da Strabone borgata carnica, furono da Augusto attribuiti i Carni, cioè gli abitanti del contado carsico.
Le acque del Timavo nostro scorrono tutte in territorio tergestino: il fiume nasce dal Monte Catalano e dopo un breve corso nella valletta solatia, incoronata di castelli, la Valle del Timavo soprano, entra maestoso nella Caverna di San Canziano, nome genuinamente romano, e vi penetra d’impeto, di cataratta in cataratta, suscitando echi e rimbombi, luci e riflessi fantastici nelle gallerie e negli androni.

Grotte di San Canziano| foto: https://www.park-skocjanske-jame.si/it/

Poi il fiume scompare improvvisamente nel regno delle tenebre e del silenzio, in un lungo viaggio sotterraneo.
Ingrossato da altre acque inghiottite dal sottosuolo carsico, nel suburbio di Trieste il fiume dalle molte sorgenti sbuca qua e là dalle fenditure della roccia con polle più o meno copiose, oltre San Giovanni di Guardiella, anche a Barcola e a Cedas; ad Aurisina fornisce e alimenta l’acquedotto principale della città; infine a San Giovanni del Timavo, tra Duino e Monfalcone, rivede la luce del sole e saluta a gran voce l’Adriatico in un paesaggio classico di eroica bellezza e d’alta poesia, se anche non più come ai tempi di Virgilio per ora novem magno cum murmure montis.
Ai tempi di Virgilio invece c’era qui un ampio circondario sacro con un porto, un boschetto, uno o più santuari e le terme, poiché il Timavo, divinità fluviale era anche divinità salutare, come l’Apollo Aponus invocato nelle terme di Abano presso Padova.
(continua)

 


Nella foto di copertina (Elena Clausero) una risorgiva del Timavo, in prossimità della chiesa di San Giovanni in Tuba.

a cura della prof.ssa Marisa Bernardis

tra acque e miti del fiume Timavo (I parte)


 

il dio Mitra

il dio Mitra

meno nuove

Chi era Mitra? Dove veniva venerato? Qual è stata la diffusione del suo culto in regione?
Iniziamo oggi un piccolo iter dedicato agli aspetti del culto a questo dio frigio, che ha lasciato tracce sensibili anche nei nostri territori.
Mitra è un’antichissima divinità persiana, simbolo della luce solare fecondatrice della natura.
Essendo il sole ‘un dio che tutto vede’, Mitra giudicava le azioni degli uomini, per cui i fedeli del dio dovevano aspirare a un’assoluta purezza e integrità morale, per non incorrere nella sua ira.
Il culto di Mitra giunse in Italia dopo la guerra di Pompeo contro i pirati della Cilicia, nel 67 a.C.: divenne ufficiale sotto Traiano e onorato con il nome di ‘Sol Invictus’ nel 304 d.C.: fu proclamato ‘fautor’, (patrono dell’Impero Romano) da Diocleziano.
Ebbe grande diffusione in tutto l’Occidente, specie nelle province nordiche di confine (Mesia, Dacia, Pannonia, Germania, Britannia), dove lo propagandarono le guarnigioni militari, fra le quali il mitraismo trovò i suoi adepti più numerosi e fedeli. A questo proposito va ricordato che la XV Legione Apollinare, nella quale militavano le genti giuliane, prestava servizio in Asia Minore.


 

Mitra e lo zoroastrismo

Mitra e lo zoroastrismo

meno nuove

I santuari mitraici erano per lo più sotterranei (ipogei) o semisotterranei (cripte), di pianta rettangolare, con due banconi per i fedeli lungo i lati maggiori,un altare nel mezzo e, nel fondo, di fronte all’ingresso, una lastra marmorea, su cui era rappresentata l’impresa culminante del dio, cioè la ‘tauroctonia’, l’uccisione del toro.
Mitra uccide il toro con la spada e il sangue sgorga dalla ferita; alcuni animali, cioè il cane e il serpente lo lambiscono, mentre lo scorpione e la formica cercano di colpire i genitali del toro.
Il cane è un animale utile ed appartiene all’ordine di Ahura-Mazda, antichissima divinità persiana del bene legata allo zoroastrismo e creatrice dei mondi terreno e astrale, mentre serpente, scorpione e formica sono animali dannosi, specie alla vegetazione, ed appartengono all’ordine di Ahriman, spirito del male legato alla stessa religione, principe dei demoni.
Il toro, dalla cui coda eretta spuntano spighe di grano, è il toro cosmico che, morendo, dà origine alla vita: infatti dal suo sangue nasce la vita, dal suo midollo spinale il grano, dal suo seme le specie animali, secondo una tradizione conservata nelle scritture zoroastriche, con diretto riferimento ai riti agrari. (continua)


in foto: il mitreo ipogeo di Duino.

Cautes e Cautopates

Cautes e Cautopates

meno nuove

Nella raffigurazione della tauroctonia, accanto al dio Mitra appaiono raffigurati due giovinetti, i gemelli celesti Cautes e Cautopates, simboli del sole nascente e del sole al tramonto, i quali portano una torcia.

La torcia di Cautes punta verso l’alto, perché Cautes rappresenta l’Equinozio di Primavera; quella di Cautopates, che è l’Equinozio d’Autunno, è diretta verso il basso, con un possibile richiamo ai Dioscuri Castore e Polluce della mitologia greca e romana.
In alto appaiono sui loro cocchi il Sole e la Luna.

Il momento più splendido del mitraismo fu tra la fine del III sec. d .C. ed il principio del IV, quando si identificò con la religione orientale del Sole (Sol Invictus), nata in Egitto e Siria. (continua)

in foto: il bassorilievo nel mitreo di Duino

mitreo

mitreo

meno nuove

I misteri mitraici ebbero enorme diffusione nell’Impero Romano durante i primi secoli del Cristianesimo.

Le pratiche per essere ammessi ai misteri erano assai laboriose e difficili a compiersi.
La prima di queste pratiche pare consistesse in un esercizio di resistenza fisica: l’aspirante doveva attraversare a nuoto più volte un ampio tratto di mare e sopportare poi lunghi digiuni e penitenze maceranti a cui seguiva poi ‘il battesimo’ e il marchio a fuoco sulla fronte del nuovo adepto, che, con speciali cerimonie, veniva proclamato ‘soldato di Mitra’.

Sul soffitto dell’ipogeo di Duino si nota un’apertura circolare comunicante con l’esterno, che fa pensare ad una specie di pozzo: probabilmente all’esterno veniva sacrificato il toro, il cui sangue pioveva sull’adepto, che si trovava nel vano sottostante. Difatti si sono rinvenute nel terreno alcune schegge d’osso, probabilmente appartenute a un toro sacrificale.

I gradi di iniziazione erano sette: ‘corvo’ (corax), ‘fratello nascosto’, soldato (miles), ‘leone’ (leo), persiano (persa), ‘corridore del sole (elio dromos), ‘padre’ (pater).

I Padri avevano un capo,specie di Pontefice Massimo, che veniva chiamato ‘Pater Patrum’.

L’avversione del cristianesimo a questi riti misterici non ne permise una successiva, approfondita conoscenza.
a cura della professoressa Marisa Bernardis

Bibliografia: Dante Cannarella:Guida del Carso triestino; Enciclopedia Treccani; D’Alesio:Dei e Miti; Scotti:I Pirati dell’Adriatico.

una carta dell’alto Adriatico di Abraham Ortelius

una carta dell’alto Adriatico di Abraham Ortelius

meno nuove

Abraham Ortelius, cartografo fiammingo del sedicesimo secolo, ci lascia quest’esaustiva descrizione del nostro alto Adriatico.
Si nota ‘Monte falcone’, un tempo chiamato ‘veruca’ (lat.: roccia, rocca), mentre ben evidenziato risulta il complesso delle ‘Therme’, vicino a ‘Belforte, o Duino piccolo’, affiancato da ‘Duino grande’.
Interessante anche ‘Aquilegia’ e il ‘Locus’ dove San Marco vergò il Vangelo.
Il canale ‘Anfora’ raggiunge ancora il mare e serve quel che rimane dell’antica città imperiale, mentre la città murata di Grado è custode della Fede.